Decreto Ingiuntivo: cos’è, condizioni di ammissibilità, procedura e termini per l’opposizione

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  1. Cosa s’intende per decreto ingiuntivo?

Il Decreto Ingiuntivo (D.I. per i tecnici del diritto) è disciplinato, all’interno del nostro Codice di Procedura Civile, nel Libro IV relativo ai procedimenti speciali e precipuamente nel Capo I  del Titolo I riguardante i procedimenti sommari agli artt. 633 e seguenti.

Si propone tramite ricorso ed è il provvedimento attraverso cui il titolare di un diritto di credito certo, liquido ed esigibile, fondato su prova scritta ingiunge l’obbligato di adempiere alla propria obbligazione – di pagamento di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili o ancora di consegna di una cosa mobile determinata – entro e non oltre i quaranta giorni successivi alla notifica dello stesso, con l’avvertimento espresso che entro lo stesso termine può proporre opposizione e che in assenza dell’adempimento o dell’opposizione si procederà ad esecuzione forzata.

Il D.I. è l’atto conclusivo emanato dal giudice competente (che ai sensi dell’art. 637 c.p.c è quello che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria) nel procedimento d’ingiunzione, procedimento nominato “speciale” – in quanto il titolare di un diritto di credito, che sia in possesso di requisiti rigidamente prescritti dalla legge, può ottenere un decreto di condanna (il D.I. appunto) nei confronti del debitore in maniera molto più semplice e celere rispetto all’iter del processo ordinario a cognizione piena – ed espressamente definito “sommario”- poiché il convincimento del giudicante si basa su una percezione dei fatti di causa ben lontana da quella usata nel procedimento a cognizione piena che ruota attorno al principio del contraddittorio, incentrandosi, invece, esclusivamente sulle allegazioni probatorie di chi ha dato impulso al procedimento e cioè il ricorrente/creditore. Per tale motivo sarà un provvedimento “ sommario perché parziale” essendo “parziali”, di una sola “parte”, le informazioni conosciute dal giudicante, ma non solo. La sommarietà è tale anche in forza della “superficialità” con cui il giudice prende conoscenza dei fatti di causa, basandosi il suo convincimento su elementi probatori che in un normale procedimento a cognizione piena non potrebbero essere presi in considerazione e che costituiscono “prova scritta” solo in tale fase.

“Condictio est actio in personam, qua actor intendit dari sibi oportere”.

Le sue caratteristiche denotano uno strumento estremamente appetibile per il creditore perché può ottenere in tempi rapidi ed in maniera semplificata un titolo, emanato inaudita altera parte, per agire esecutivamente nei confronti del debitore evitando le lungaggini del giudizio ordinario.

  1. Condizioni di ammissibilità ed il valore della prova scritta nel procedimento d’ingiunzione.

La particolare tutela offerta dal nostro Legislatore con il procedimento in oggetto è connessa alla natura ed all’oggetto della pretesa e alla presenza di una prova scritta.

L’articolo 633 del c.p.c. prevede quelle che sono le “condizioni di ammissibilità” per ottenere un D.I. stabilendo che: “su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna: 1) se del diritto fatto valere si dà prova scritta; 2) se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo; 3) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata.

L’ingiunzione può essere pronunciata anche se il diritto dipende da una controprestazione o da una condizione, purché il ricorrente offra elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione o l’avveramento della condizione”.

Più nello specifico il credito deve essere certo e quindi chiaro nel contenuto, nei suoi limiti e non controverso nella sua esistenza, liquido cioè determinato nel suo ammontare (espresso cioè in misura determinata o sulla base di una semplice operazione aritmetica), esigibile (sin dal momento della proposizione del ricorso) nel senso che deve essere scaduto il termine previsto per l’adempimento e non deve essere sottoposto a condizione sospensiva.

Per quel che concerne il requisito della prova scritta la Cassazione è chiara nell’affermare che “Ai fini dell’emanazione del decreto ingiuntivo, per prova scritta deve intendersi qualsiasi documento che, sebbene privo di efficacia probatoria assoluta, risulti attendibile in ordine all’esistenza del diritto di credito azionato” (Cass. 19 settembre 2000, n. 12388). Il giudicante terrà conto quindi di elementi probatori che costituiscono “prova scritta” soltanto se si rimane nei limiti tracciati dal procedimento d’ingiunzione, non essendo invece suscettibili di fornire alcuna dimostrazione dei fatti fondanti la pretesa nell’ambito di un giudizio ordinario; basta cioè un “qualsiasi documento, proveniente dal debitore, o anche da un terzo, purché idoneo a dimostrare il diritto fatto valere, anche se privo di efficacia probatoria assoluta” (Trib. Roma, 9 ottobre 2012, Sez. III, n. 18814). Per l’art. 634 c.p.c. sono prove scritte “le polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile”.

Ai sensi dell’art. 636 c.p.c. se il credito inerisce a onorari professionali le cui tariffe siano legalmente approvate, al ricorso vanno allegati la parcella e il parere di conformità del competente ordine professionale di appartenenza (a meno che non sia predeterminato in virtù di tariffe obbligatorie).

Per soddisfare il requisito della prova scritta basterà quindi la produzione documentale di: titoli a formazione giudiziale, atto pubblico, scrittura privata autenticata, cambiale, assegno, documenti sottoscritti da terzi o provenienti dal creditore, lodi arbitrali irrituali e tutta una serie di documenti che non costituirebbero “prova” in un processo ordinario a cognizione piena.

  1. L’opposizione al decreto ingiuntivo.

Il debitore che ha ricevuto un D.I. ha la possibilità, entro il termine tassativo di 40 giorni dalla notifica dello stesso, di proporre opposizione innanzi all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto.

Il termine dei 40 giorni decorre dal momento della notificazione del D.I. al debitore che, a norma dell’art. 643 c.p.c., deve avvenire unitamente al ricorso (entrambi per copia autentica) a cura del ricorrente ed entro 60 giorni dalla data della sua emissione.

Ai sensi dell’art. 645 c.p.c.in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito”, si aprirà quindi una seconda “fase processuale” (è ormai granitico l’orientamento giurisprudenziale che considera le due fasi come appartenenti ad un unico procedimento che ha “natura unitaria” – Cass. Sez. civile, sent. n. 24639/2015) non più sommaria né tantomeno “superficiale” ma caratterizzata dai crismi prescritti dal procedimento ordinario e dal principio del contraddittorio.

Accadrà quindi che colui che era il debitore ingiunto nella fase iniziale del procedimento d’ingiunzione divenga formalmente attore e che il creditore ricorrente essendo destinatario dell’atto di citazione divenga convenuto.

Attenzione però: tale inversione dei ruoli è solo formale poiché incomberà sul convenuto opposto l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, secondo quelli che sono i classici principi dell’onere probatorio mentre sarà l’attore opponente a dover dedurre eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa fatta valere dal creditore.

Il debitore che ritiene, per qualsiasi motivo, di non dover adempiere l’obbligazione, una volta ricevuto il D.I., deve darsi una mossa e prendere l’iniziativa.

La sua inerzia comporterà infatti l’applicazione dell’art. 647 c.p.c. in virtù del quale

Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppure l’opponente non si è costituito), il giudice che ha pronunciato il decreto, su istanza anche verbale del ricorrente, lo dichiara esecutivo.  Nel primo caso il giudice deve ordinare che sia rinnovata la notificazione, quando risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza del decreto.  Quando il decreto e’ stato dichiarato esecutivo a norma del presente articolo, l’opposizione non puo’ essere piu’ proposta ne’ proseguita, salvo il disposto dell’art. 650, e la cauzione eventualmente prestata e’ liberata.

Il decreto ingiuntivo diverrà definitivo e quindi esecutivo e la statuizione del giudice passerà in giudicato!

P. Avv. Angelo Manuel Fonzo

(collaboratore dello studio d’Ambrosio Borselli presso la sede di Napoli)

Il decreto ingiuntivo costituisce un titolo esecutivo e come tale per poterlo mettere effettivamente in esecuzione è necessario redigere un atto di precetto (si legga al riguardo L’atto di precetto contenuto, spese, termini e opposizione) e successivamente a questo potrà partire l’esecuzione vera e propria, se si trattasse di una esecuzione immobiliare si legga «Pignoramento immobiliare costi e tempi dopo le modifiche dei Dl 132/14, 83/15 e 59/16- Soluzioni per Salvare casa» 

Per approfondire quel particolare caso di condanna in futuro data dal decreto ingiuntivo richiesto per i canoni di locazione impagati in un procedimento di sfratto per morosità si legga Decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per i canoni di locazione

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